Dopo la morte di Lenin, nel 1924, fra i capi bolscevichi si aprì un'aspra lotta per la successione alla guida del partito e dunque dell'Unione Sovietica. Il più prestigioso tra i leader della rivoluzione civile, Trotskij, sosteneva che era necessario alimentare la rivoluzione in tutto il mondo (teoria della rivoluzione permanente). Contro di lui, altri capi bolscevichi sostenevano che l'Unione Sovietica aveva bisogno di pace e doveva sviluppare la sua economia senza scosse. Tra le due linee contrapposte emerse la personalità di Stalin (in foto) che difendeva l'ideale del socialismo in un solo paese. Messo in minoranza Trotskij venne accusato di tradimento e mandato in esilio. Alla fine degli anni '20 Stalin era ormai il dittatore incontrastato del paese. Stalin decise di imporre al paese un programma di modernizzazione forzata per trasformare in pochi anni la Russia in una grande potenza industriale moderna. Nel 1928 egli abolì ogni forma di iniziativa privata: non solo le fabbriche, ma anche negozi e botteghe potevano appartenere esclusivamente allo Stato. Tutta la vita economica del paese era decisa dal governo e regolata attraverso i piani quinquennali che stabilivano, ogni cinque anni, come investire le risorse del paese e che cosa produrre. I piani quinquennali si concentravano sull'edificazione dell'industria pesante (impianti siderurgici e meccanici), raffinerie di petrolio e centrali elettriche, dighe, canali e linee ferroviarie. Gli operai furono costretti a sottoporsi ad una disciplina di tipo militare. Nel giro di pochi anni la produzione industriale si accrebbe e il paese fu portato alla pari delle altre potenze occidentali. Ma ciò si potè ottenere solo riducendo al minimo indispensabile la produzione di vestiario, alimentari e alloggi: la gente, perciò, continuò a vivere in assoluta povertà. Il prezzo più spaventoso fu pagato dalle campagne. Nel 1930 Stalin lanciò la nuova parola d'ordine: collettivizzazione delle campagne. I contadini dovevano dovevano mettere in comune la terra e il bestiame formando delle cooperative (kolchoz). In certe zone lo stato avrebbe costituito delle grandi aziende agricole statali (sovchoz) dove i contadini sarebbero stati assunti come gli operai in fabbrica. I contadini che negli anni della NEP erano riusciti a risparmiare vendendo i loro prodotti (kulaki) non volevano mettere in comune i frutti del loro lavoro e si ribellarono. Stalin li accusò di tradimento e li fece deportare nelle zone più fredde o aride del paese provocando la morte di molte persone.
L'Unione Sovietica di Stalin era un paese totalitario, infatti lo Stato controllava totalmente la vita della gente imponendo a ciascuno come doveva vivere e cosa doveva pensare. La società sovietica si trasformò in una dittatura poliziesca dove si rischiava continuamente di essere accusati di tradimento: criticare o solo discutere era troppo pericoloso. Uno degli scopi dei bolscevichi era quello di istruire il popolo liberandolo dall'analfabetismo. L'istruzione scolastica gratuita ottenne questo obiettivo, ma insieme a questa era impartita anche l'istruzione politica: tutti dovevano studiare il pensiero di Marx, di Lenin e di Stalin. La propaganda divenne un aspetto della vita quotidiana: ovunque c'erano slogan, cartelloni, striscioni che invitavano la gente a lavorare di più, a servire il comunismo, a essere fedele a Stalin. Mezzi efficaci di propaganda furono la radio, la grafica dei manifesti, il cinema, l'arte. la diffusione della propaganda significò il dominio della menzogna: ogni realtà spiacevole era nascosta alla gente, a cui si faceva credere che andava tutto bene.
Alla metà degli anni '30 si abbattè sull'URSS un'ondata di vero e proprio terrore. Si aprì la stagione delle "grandi purghe" (1936 - 1938): tutti coloro che si opponevano al dittatore furono eliminati. Processi e condanne colpirono dirigenti del partito, tecnici che gestivano le industrie, ufficiali dell'Armata Rossa. Frequentemente gli imputati, dopo essere stati sottoposti a tortura, confessavano crimini di cu non erano colpevoli. Coloro che scampavano alla fucilazione finivano nei gulag, campi di concentramento in cui erano costretti ai lavori forzati. Si calcola che dopo il 1934 i prigionieri oscillavano tra i 7 e gli 8 milioni. Tra il 1934 e il 1941 vennero private della libertà circa 20 milioni di persone, delle quali 7 milioni furono uccise o morirono durante la prigionia.
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